Le intolleranze alimentari fanno parte di un più vasto gruppo di disturbi definiti come reazioni avverse agli alimenti.
Di questo gruppo fanno parte sia le allergie, ovvero le reazioni immune-mediate, sia le intolleranze alimentari, che generalmente non dipendono dall’attivazione del sistema immunitario.
Qual è la differenza tra allergia e intolleranza alimentare?
L’allergia è una risposta eccessiva da parte del sistema immunitario verso agenti estranei che, percepiti come minaccia (allergeni), sono attaccati dalle difese immunitarie; il nostro organismo reagisce producendo anticorpi (Immunoglobuline E – IgE) che, a contatto con l’allergene, scatenano una reazione che determina il rilascio di istamina, un mediatore dell’infiammazione che provoca la reazione allergica.
L’intolleranza al contrario, non coinvolge il sistema immunitario; si manifesta quando il corpo non riesce a digerire alcune sostanze. Se gli individui allergici devono eliminare completamente il cibo che scatena la reazione, gli intolleranti possono assumerne piccole quantità senza sviluppare sintomi (fanno eccezione gli individui sensibili al glutine).
Le intolleranze alimentari possono essere di vari tipi:
Le intolleranze alimentari sono molto più comuni e diffuse delle allergie. Inoltre, solo le allergie possono potenzialmente causare reazioni gravi come lo shock anafilattico. Nonostante ciò, le intolleranze alimentari non sono da trascurare in quanto sono in grado di determinare un impatto molto significativo sulla qualità di vita di chi ne soffre.
Intolleranze Alimentari
1. Intolleranze farmacologiche: dipendono dall’effetto diretto (quindi farmacologico) di una determinata sostanza presente nell’alimento, nei confronti del nostro organism. Come ad esempio le xantine che si trovano nel caffè e nel tè, e possono causare sintomi come tachicardia ed acidità digestiva. Anche gli alimenti particolarmente ricchi di istamina e tiramina (ammina derivata dalla decarbossilazione dall’amminoacido tirosina) possono provocare intolleranze.
2. Intolleranze enzimatiche: derivano da carenza o assenza di enzimi necessari alla metabolizzazione di alcuni aminoacidi o zuccheri.
Tra queste le più diffuse sono l’intolleranza al lattosio e il favismo.
Il favismo è una patologia che deriva da un’anomalia genetica che determina un deficit enzimatico. Nota fin dall’antichità come “malattia delle fave”, questa patologia, come si evince dalla parola stessa, comporta l’assoluta necessità di evitare l’assunzione di fave ed altri alimenti, come piselli e verbena, alcuni farmaci e sostanze particolari.
Nei soggetti affetti da favismo si registra un deficit funzionale o quantitativo di un enzima implicato nella via metabolica dei pentoso fosfati (nota anche come shunt dell’esoso monofosfato o HMP pathway), la glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD o G6PDH): la carenza dell’enzima comporta gravi conseguenze a livello deo globuli rossi, poiché il G6DP risulta essenziale per il corretto funzionamento e la sopravvivenza degli stessi.
L’assunzione di particolari alimenti e sostanze potrebbe inibire l’enzima G6DP, determinando conseguenze gravissime per l’organismo, prima fra tutte, l’emolisi acuta con ittero, infatti è noto il ruolo rivestito da questo enzima come fattore di difesa degli eritrociti dall’ossidazione.
Il termine “favismo” risulta però improprio, poiché in alcuni soggetti affetti da questo disordine, la reazione clinica emolitica si può manifestare anche indipendentemente dal consumo di fave e piselli.
Nella maggior parte dei casi, le persone affette non possono mangiare questi legumi; inoltre, non possono essere inalare particolari sostanze (ad esempio la naftalina) o assumere alcuni farmaci (ad esempio analgesici, antipiretici, antimalarici, salicilati, certi chemioterapici, chinidina, blu di metilene etc.).
3. Intolleranze agli additivi presenti nei cibi: è generalmente provocata da conservanti, dolcificanti, esaltatori di sapidità (ricordiamo la sindrome del ristorante cinese dovuta ad ingestione di eccessive quantità di sodio glutammato). Queste sostanze in soggetti predisposti, possono produrre sintomi come nausea, mal di testa, dolori addominali fino all’asma (per esempio scatenata dai solfiti contenuti in alcuni vini, aceti o altri alimenti).
L’intolleranza al lattosio
L’intolleranza al lattosio è l’intolleranza alimentare più diffusa, la cui prevalenza varia dal 2% della popolazione dei paesi nord europei a quasi il 100% dei paesi asiatici.
Il quadro clinico dell’intolleranza al lattosio è sostenuto da una ridotta attività dell’enzima β-galattosidasi nella flora batterica e da un’alterazione dell’epitelio dell’intestino tenue.
Il lattosio, principale zucchero del latte, è un disaccaride costituito da glucosio e galattosio, che nelle normali condizioni fisiologiche viene degradato dall’enzima lattasi (un enzima idrolitico che viene prodotto dalle cellule della parete intestinale).
Glucosio e galattosio vengono assorbiti dalle cellule intestinali e trasportati nel flusso sanguigno o eliminati dal fegato.
Il lattosio, che non viene idrolizzato nell’intestino tenue, raggiunge il colon, dove, assieme ai suoi metaboliti, fermenta e può dare origine a disturbi gastrointestinali come la diarrea.
L’apparente attività dell’enzima lattasi è influenzata da diversi fattori come:
- l’età (l’attività è alta nel primo anno di vita e diminuisce nell’età adulta)
- la genetica
- l’integrità della membrana dell’intestino tenue (motivo per cui spesso i pazienti celiaci presentano anche l’intolleranza al lattosio)
- il transito nell’intestino tenue
L’intolleranza al lattosio è la situazione fisiopatologica in cui la digestione e/o fermentazione è alterata e porta a disturbi clinici.
In condizioni “normali” (ovvero quando il soggetto riesce a digerire adeguatamente il lattosio), il lattosio che arriva al colon può essere idrolizzato dall’enzima β-galattosidasi prodotto dalla flora batterica presente, con conseguente formazione di glucosio e galattosio, che vengono successivamente convertiti in lattato, acetato, propinato, butirrato ed altri acidi grassi a catena corta catena (SCFA).
Tutti questi prodotti possono contribuire al carico osmotico nel colon che potrebbe portare ad aumento del tempo di transito intestinale, a profili fermentativi alterati e, infine, alla diarrea.
La β-galattosidasi è il fattore limitante, infatti è noto che la supplementazione di yogurt e probiotici allevia i sintomi clinici inducendo la produzione di β-galattosidasi a livello del colon.
La β-galattosidasi è un enzima abbondante nel microbiota intestinale, è presente in molti phyla di batteri che possono contribuire in totale a più del 40% del microbiota.
Tipicamente, l’intolleranza al lattosio determina una sintomatologia gastrointestinale (gonfiore, pesantezza post-prandiale, coliche, alterazioni delle evacuzioni con stipsi, diarrea o alternanza delle due) ma in alcuni soggetti si possono avere manifestazioni extra-intestinali di tipo sistemico (stanchezza, spossatezza, cefalea) o a carico di altri organi o apprati.
Il test di riferimento per la diagnosi dell’intolleranza al lattosio è il breath test con lattosio; questo è un test non invasivo e molto accurato, tuttavia richiede diverse ore e pertanto non è molto pratico. Nella popolazione caucasica adulta, quando si sospetta un’intolleranza al lattosio di tipo primario (ovvero geneticamente determinata, che è la forma di gran lunga più frequente) si può ricorrere al test genetico per valutare se il soggetto è predisposto a ridurre nel tempo I livelli di enzima β-galattosidasi.
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